venerdì 27 dicembre 2019

# 11 - Divagazioni natalizie



Babbo Natale ha parcheggiato le renne nella stalla, anche per quest’anno cenoni e pranzi natalizi sono stati consumati e digeriti, resta ancora qualche rimasuglio di panettone e di torrone, il grosso del lavoro comunque è stato portato a termine con risultati soddisfacenti. Tuttavia la promessa di appagamento che il Natale ogni anno porta con sé è stata ancora una volta rimandata. Per questo motivo la pancia non totalmente soddisfatta reclama altro e a consolarla arriva l’attesa del grande cenone di capodanno! Riparte così la giostra delle ricette e dei piatti, dei dibattiti tra gli scaffali del supermercato, della ricerca di un posto adeguato dove passare l’ultimo dell’anno, della lista di tutti quelli che parteciperanno al supermegagalattico cenone e tante altre cose di questo tipo.

L’insoddisfazione post-natalizia però non mi pare che sia una questione gastronomica e nemmeno può essere riferita alla tristezza della sera del dì di festa che aveva così tanto abbattuto Leopardi. Una domanda rimane senza risposta nonostante tutte le tradizionali consuetudini natalizie siano state perfettamente rispettate. Alla fine questo bambino che abbiamo ricordato il 25 dicembre chi è veramente? Sembrava che fosse nato per dare una risposta a tutti gli interrogativi e risolvere tutti i problemi. In realtà la sua nascita ha complicato ulteriormente le cose, nel senso che ha reso l’enigma dell’esistenza più grande di quello che già era prima della sua nascita. In poche parole il bambino in questione non ha svelato il mistero ma lo ha reso più grande.



venerdì 15 novembre 2019

#10 - Il mese dei morti


Secondo quanto riportano i documenti a nostra disposizione Lazzaro dopo la sua morte ha passato quattro giorni non si sa dove, mentre il suo cadavere avvolto da bende era stato allungato all’interno di una tomba. Ad un certo momento però Lazzaro è tornato in vita, si può quindi ipotizzare ragionevolmente che sia ancora vivo, dato che nessun certificato attesta la sua seconda morte e non c’è lapide o tomba che segnali la presenza dei suoi resti corporei. Lazzaro quindi potrebbe essere vivo e ci sarebbe di grande aiuto per avere qualche dritta sull’intricata faccenda della morte, questione rognosa e complicata per tutti e per ogni tempo, a partire dall’uomo di Neanderthal, fino all’uomo-google dei giorni nostri.
Ci sono alcuni versi di una poetessa che sicuramente non risolvono la questione ma dicono qualcosa di interessante: la morte arriva sempre dopo, il suo posto non sarà mai il primo gradino del podio, al massimo potrà arrivare solo al secondo.

Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
Wisława Szymborska


sabato 31 agosto 2019

# 9 - aforismi


Se vale la pena fare una cosa, falla male!
G. K. Chesterton

    Questo aforisma di Chesterton è stato per me incomprensibile fino a qualche anno fa, oggi ne comprendo meglio la portata e cerco di applicare alla mia vita quanto suggerisce. Cosa significa? Sembra essere un suggerimento per persone sciatte e menefreghiste che non hanno il minimo gusto per i lavori ben fatti.

    Ora, una cosa mi è molto chiara, la stortura che impedisce maggiormente di vivere bene è il perfezionismo, la pretesa rivolta a se stessi di non potersi permettere il minimo errore. Il perfezionista percepisce ogni ammaccatura e ogni intoppo al proprio lavoro come un intollerabile attacco alla propria bella persona, perché per i tipi come lui è matematicamente impossibile incorrere in errori, deviazioni o asimmetrie. Il perfezionista in fondo è un antipatico narcisista.

    Chesterton invece è di tutt’altro avviso, lui dice che se è bene fare una cosa è necessario che quella cosa venga fatta indipendentemente dall’esito che può avere. Se è giusto fare una cosa bisogna buttarsi in quell’opera con tutte le scarpe, i pantaloni e il cappotto, perché se vale la pena farla allora è necessario farla. Spesso l’esito positivo non dipende soltanto dall’impegno di chi si è sporcato le mani ed è per questo che ogni uomo che si mette all'opera è un eroe meritevole della medaglia al valore umano. Egli è come un guerriero che combatte per difendere le persone che ama, il nemico può anche essere più forte di lui e per questo può essere sconfitto, ma tale esito non è da lui minimamente considerato dato che combattere per difendere le persone care è l’unica cosa che vale la pena di essere fatta ed è per questo che la fa senza risparmiarsi. Questo è il giusto significato da attribuire all'aforisma del grande Chesterton.

    L’avverbio che nella traduzione italiana è reso con "male" può essere tradotto anche con "di brutto" o "grandemente" e sicuramente questo è il senso che bisogna dare all'originale inglese badly. Perciò se vale la pena fare una cosa allora è necessario farla di brutto, farla grandemente, con tutto se stessi.

    Domani è il primo settembre, le vacanze sono finite e il lavoro che mi spetta e che vale la pena di essere fatto, attende di essere realizzato così come Chesterton suggerisce: non vuole essere perfetto e impeccabile, ma vuole che io mi ci metta con tutti i miei neuroni, con tutti i miei muscoli e con tutte le mie ossa.
 




domenica 18 agosto 2019

#8 – Conosci te stesso



Nei discorsi tra confidenti e amici, un consiglio che spesso ci sentiamo dire da altri o che noi stessi diamo alle persone che orbitano nel nostro sistema, assume una forma di questo tipo: “Devi essere te stesso e fregartene di tutto il resto”. Essere se stessi che significa?

                L’uomo della Grecia antica che viveva un problema o che non sapeva come risolvere un dilemma, dopo essersi allacciato bene i sandali, si incamminava verso la Focide, alle pendici del monte Parnaso dove si trovava la città di Delfi. In quella città si trovava un grande tempio in cui alcune sacerdotesse lavoravano per conto di Apollo, esse erano aiutate da alcuni sacerdoti che vagliavano le richieste di coloro che giungevano per consultare l’oracolo. Se il poveraccio aveva tutti i requisiti poteva allora accedere nella camera segreta del tempio dove si trovava la sacerdotessa che avrebbe risposto al suo quesito. Il grande tempio di Apollo a Delfi era conosciuto in tutta la Grecia, isole comprese, e chi giungeva in quel posto, prima di iniziare tutta la trafila che lo avrebbe condotto al cospetto della sacerdotessa poteva ammirare estasiato la meravigliosa struttura architettonica dell’edificio. Sull’architrave del portale del santuario campeggiava, a caratteri grandi, una delle celebri massime attribuita ai sette sapienti che diceva: conosci te stesso. Questo era dunque il  primo suggerimento che riceveva il pellegrino giunto a Delfi e se non gli veniva consentito di porre il suo quesito direttamente all’oracolo, quella massima che aveva letto sull'ingresso del grande tempio,sicuramente gli sarebbe stata di grande aiuto per trovare la soluzione ai suoi dubbi esistenziali. Se il consiglio che spesso diamo noi (Sii te stesso) non si sa bene cosa significhi, “conosci te stesso” invece suona come un invito a iniziare un’avventura.

                Ecco il punto, noi vogliamo essere noi stessi e consigliamo agli altri di fare altrettanto, ma prima di essere chi siamo bisognerebbe capire chi siamo, oppure un’altra possibilità sarebbe quella di partire dall’interrogativo del pastore di Leopardi che si chiede: ma io che sono? Si tratta di una domanda enorme e vale la pena di vivere per cercare la risposta. Una risposta facile, chiara e immediata suona falsa alle mie orecchie, anche le persone più intelligenti e gli spiriti più elevati, avrebbero difficoltà nel darla. Credo che la migliore risposta da me sentita a questa domanda sia: “Boh”, oppure quest’altra che forse è migliore: “Wow”.

                Persino il filosofo Benedetto Croce era in difficoltà quando doveva scrivere di se stesso, in una pagina di diario dice: la verità è che io non saprei scrivere di me come individuo, delle mie intenzioni, azioni e sentimenti, senza urtare in due e contrari pericoli: l’accusa sistematica e la sistematica apologia. Certe volte, mi vedo tutto in nero: certe altre volte, tutto in bianco.

Una cosa è certa, tutte le risposte che ci diamo da soli quasi sicuramente sono errate, meglio seguire l’esempio dell'antico uomo greco che non aveva la pretesa di una risposta immediata, ma si metteva pazientemente in cammino per lunghi giorni verso Delfi. Un consiglio però mi sento di darlo, al giorno d'oggi non conviene dirigersi proprio a Delfi, quella città ormai è diventata un museo, la pietra dell'oracolo è stata messa sotto una teca di vetro e le sacerdotesse sono state tutte licenziate, bisognerebbe quindi trovare un'altra meta.

venerdì 9 agosto 2019

# 7 - L' inconcepibile universo


   L'Universo, com'è già stato notato in altre sedi, è un posto maledettamente vasto, cosa che, per amore di un'esistenza quieta, la maggior parte delle gente finge di non sapere.
   Molti sarebbero anzi pronti a trasferirsi in luoghi ancora più piccoli di quelli che riescono a concepire con la mente, e di fatto non sono poche le creature che lo fanno.

Duglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti, Milano, Mondadori 2019, p.232




sabato 13 luglio 2019

# 6 - Il mistero che resta


Tutto quello che l'uomo, pensa, scrive e costruisce serve a rendere più chiaro il mistero che tale resta.


giovedì 13 giugno 2019

#5 - La promessa -


Ogni anno vuoi o non vuoi si ripresenta e non ci sono storie. Il mese passato in realtà ci aveva ingannati tutti, il calendario segnava maggio ma l'impressione che si aveva era quella di stare a metà novembre. Le piogge, il vento e le temperature basse hanno causato una battuta d'arresto al sempre uguale ciclo delle stagioni con il risultato che le ciliegie non sono dolci, sono poche e costano veramente un sacco!

Ora il caldo è arrivato, i condizionatori funzionano a pieno regime, l'umidità impasta tutto, tra una sosta davanti al ventilatore e un sorso di the freddo preso dal frigorifero, si cerca di arrivare a sera con la speranza di godere di un po'di aria fresca. Nonostante tutto va come deve andare, lamentarsi dell'eccessivo caldo resta una costante, un tormentone che mai passa di moda. Ci si lamenta per il freddo d'inverno e per il caldo estivo, della pioggia autunnale e del tempo variabile primaverile. Ci lamentiamo ma alla fine siamo contenti che le cose restano come le conosciamo. Si può pensare a quanto sia rassicurante la ritualità del ciclo annuale che vede l'alternarsi delle quattro stagioni, oppure pensiamo all'ordinato scorrere dei 1440 minuti della giornata, scanditi dalla sveglia mattutina, dalle ore di lavoro, dai momenti del pasto e dal caffè dopo pranzo. Tutto questo ordine è una grande ripetizione, un meccanismo immutabile, inesorabilmente necessario, fa muovere la realtà secondo uno schema che è sempre e solo quello. Il serpente arriva così a mordersi la coda perché l'unico movimento che conosce è quello circolare, mordendosela però si autodistrugge.

Una cosa può evitare l'autodistruzione dovuta all'avviluppamento circolare, fidarsi di un promessa. La promessa di qualcosa di buono fa schizzare via lontano il criceto abituato a correre dentro la ruota fissata alla gabbia. Dove sta questa promessa? Chi me la fa? Non sarà mica uno scherzo? Si, è uno scherzo non però nel senso che essa non esiste o che è falsa, ma nel senso che è inaspettata, sorprendente, più che uno scherzo direi che è una sorpresa!




venerdì 31 maggio 2019

#4 - Immagini impresse



Poco più di un mese è passato da quando ho salutato la Tunisia, per me è stata la prima volta che ho messo piede nell’immenso continente africano. Non passa giorno che la mente non ritorna alle grandi dune del Sahara, quali dune? Ce ne sono di molti colori, le sfumature prendono le tonalità del grigio, del rosso e del giallo, immense distese di sabbia, pare che siano 9.000.000 km². Fatto sta che in questi giorni di studio, in cui la testa dovrebbe essere occupata a leggere e a fare collegamenti, a ripetere e a fissare nella memoria, mi capita spesso di ritornare nel deserto.
Non è vero che nel deserto non c’è acqua, bisogna cercarla; non è vero che nel deserto non c’è vita, bagarozzi, scorpioni e vipere a quanto pare in quei posti se la passano bene. Anzi, c’è di più, nel Sahara riesci persino ad incontrare delle persone che vivono stabilmente lì o che attraversano quelle immense distese con i dromedari o a bordo di una Toyota 4x4 come ho fatto io. 
Il deserto ti conquista per un motivo che non ha nulla a che vedere con le prove di resistenza fisica o cose del genere. Anzi se cerchi di fare il duro il deserto ti mette all’angolo e ti manda al tappeto senza troppi sforzi. Chi vive nel deserto non parla troppo, preferisce il silenzio, ha una vista attenta e l’udito raffinato; è gente che non mostra di avere alcun tipo di fretta perché è impegnata a confrontarsi continuamente con qualcosa di immensamente grande che non è l’enorme distesa di sabbia rovente, ma è il cielo. Si, proprio il cielo, perché il cielo è il costante interlocutore di chi si trova nel deserto, è la presenza più ingombrante, la cosa che non puoi fare a meno di osservare. Forse anche per questo è difficile vivere nel deserto, alcuni ci hanno passato una vita intera, altri quaranta anni o quaranta giorni, io dopo mezz’ora di camminata tra le dune ho dovuto riprendere la 4x4. 


mercoledì 22 maggio 2019

#3 - E. Mounier, Lettere sul dolore - LETTURE 1


Tempo fa mi è stato regalato un libro, un’antologia di lettere scritte da Emmanuel Mounier, filosofo ed intellettuale francese della prima metà del ‘900. A lui si deve la definizione di quella corrente di pensiero denominata personalismo che mette al centro della propria riflessione la persona umana vista nel suo valore singolare e unico, cosa che egli ha fatto in un momento storico in cui si facevano sempre più spazio, nello scenario del nostro mondo, le spinte utopistiche e devastanti delle ideologie di massa.
                L’antologia di lettere che ho letto ha come filo conduttore il tema del dolore, il mistero della sofferenza che è il grande muro contro cui la riflessione filosofica si infrange a causa della mancanza di parole. Cosa può fare infatti la ragione davanti alla sofferenza? Nulla, si arresta sbigottita e tace. Il poeta e lo scrittore invece riescono a dire qualcosa, qualcosa che però non spiega nulla ma che semplicemente fornisce un vestito verbale all’incredulità e allo sbigottimento che afferrano l’uomo sofferente. Ecco, Mounier in queste lettere non fa il filosofo, infatti non si sforza di fornire spiegazioni, ma vive il grande dolore della sua vita da uomo e ce lo racconta. 
                Ci sono due lettere che mi hanno colpito, non sono tra quelle in cui parla della malattia e della morte della figlia, non voglio mettere bocca su qualcosa di così abissale. Le lettere di cui parlo sono della primavera del 1943 e vengono indirizzate ai genitori, una al padre e l’altra alla madre. Esse parlano dell’importanza della verità e della confidenza nelle relazioni come quella tra genitori e figli. Alla madre che gli chiede perdono di aver provocato una spiegazione, un chiarimento, il figlio Emmanuel dice che certamente è legittimo volere un affetto espresso con felicità e spontaneità, con freschezza e comprensione, ma questo approccio troppo armonioso nelle relazioni non è cosa di questo mondo dove le spiegazioni, gli accorgimenti e i semi-fallimenti sono inevitabili. L’affetto spontaneo infatti spesso è accomodante,  chiude  un occhio e resta zitto per non rompere il clima di equilibrio. Questo rischia di creare quella che Mounier chiama una cortina impalpabile tra le persone, una sorta di pellicola che ti fa illudere di vivere in un rapporto autentico, ma che in realtà uccide le fibre stesse della vita. 
                Nella lettera al padre spiega meglio questo aspetto della necessità della confidenza e dice che periodicamente bisogna far saltare la barriera che si mette nella comunione tra le persone, tale barriera è costruita dai fatti della vita e dagli avvenimenti condivisi che solo apparentemente sembrano unire due persone. C’è infatti bisogno di una lava bruciante che possa fondere il flusso inerte delle esperienze quotidianamente condivise, questa lava è la verità. Verità e affetto possono collocarsi a molta distanza tra loro. All’affetto, dice Mounier, piace lasciarsi cullare da un chiacchiericcio fatto di parole ingannevoli; esso è pronto al compromesso fatto di silenzi che costantemente tacciono sempre le solite cose sulle quali si finisce a parlare solo con parole convenzionali. I silenzi non illuminati dalla vera confidenza fanno erigere alte barricate costruite tramite l’affetto troppo armonioso, l’accordo troppo stabile, l’ottimismo troppo conciliante che sono parzialmente frutto della menzogna.

                Quello che per Mounier è sublime, nella relazione tra amanti, o in quella tra genitori e figli, ma anche in quella tra fratelli o tra amici, non è l’amore felice che si alimenta di utopie e scenari idilliaci, di buone maniere e convenevoli, ma è il desiderio di volersi bene, la lotta per amarsi perché amare in questo mondo non è assolutamente facile e spontaneo, anzi richiede una crescita, una lotta che porta necessariamente con sé anche contusioni e ferite. Verità e confidenza in una relazione non corrispondono all’infantile spontaneismo che porta spesso a vomitare sull’altro solo e soltanto la propria bile nera, ma significa mostrare quello che si custodisce, ciò a cui si tiene veramente, ciò che preoccupa e addolora. Significa dire all’altro ciò che mi sta a cuore, senza la falsa retorica di quelle parole che sono interessate unicamente a nascondere e a tenermi chiuso dietro l’immagine illusoria che faticosamente ho costruito di me stesso. Senza una tale confidenza e un tale coraggio di verità ci si riduce ad essere semplici attori, teatranti costretti a recitare in ogni momento, senza nemmeno una pausa di intervallo tra un atto e l’altro. Mounier ci dice che la verità di una relazione autentica si gioca su questo piano, non è semplice e ci vuole coraggio… A noi la scelta!


giovedì 16 maggio 2019

#2 - Il fuggiasco, il milanese efficiente e il pellegrino -


                La partenza e la destinazione sono gli estremi di un viaggio, lo spostamento di qualcosa è sempre provocato da alcune cause che possono stare sia davanti che dietro, nel senso che si trovano sia all’origine che alla fine. Per spiegare questo il pensiero degli antichi ci aiuta enormemente, quel genio dell’umanità che è Aristotele aveva infatti individuato quattro tipi di cause, e tra queste include anche la causa finale, quella che muove da davanti, come fa una calamita, che attrae a se un pezzo di ferro, lo sposta senza spingerlo da dietro. Questo comporta un radicale stravolgimento di mentalità, provare ad osservare le cose e le persone dalla prospettiva del loro fine, dal compimento che devono realizzare, aiuta ad avere un orizzonte più ampio è come se applicassimo ai nostri occhiali una sorta di grandangolo.  
                Spesso ci muoviamo come mosche dentro un bicchiere di vetro capovolto, giriamo ronzando, sbattiamo da una parte all’altra in maniera incomprensibile perché si dimentica o il punto di partenza o la meta. Chi non ha presente la meta è il fuggiasco, quello che scappa e si muove perché qualcosa da dietro gli fa pressione, il suo fine è fuggire, l’unica cosa importante per lui è seminare gli inseguitori e questo basta. C’è poi un altro personaggio, quello che non guarda nulla e nessuno, ma ha in testa solo il suo obiettivo da raggiungere ad ogni costo. Costui è l’infantile, l’uomo fermo all’adolescenza che non pensa ad altro se non al perseguimento dei propri scopi consistenti quasi sempre nel soddisfacimento dei propri bisogni. L’uomo efficiente, che si fa da solo, che raggiunge i propri obiettivi guarda avanti, ma solo fino alla punta dei propri piedi. Per questo motivo il nostro mondo, efficiente, tecnologico e funzionale è in fondo un mondo ancora adolescente, giovane e a misura di giovani, alla fine è un mondo fermo anche se dà l’impressione di muoversi velocemente. 
                Accanto al fuggiasco e all’uomo efficiente che raggiunge tutti i suoi obiettivi c’è un altro personaggio che ha perso lo smalto della prima ora. Lui si mette in cammino caricandosi nello zaino le sue cose, il suo bagaglio di esperienze, alcune di queste gli saranno indispensabili per affrontare la traversata, altre invece sono inutili e dovrà avere il coraggio di lasciarle sulla strada per rendere più leggero lo zaino. Non può fare il fuggitivo perché ne è impedito dallo zaino che porta sulle spalle e non può nemmeno mostrare il suo bel curriculum di obiettivi messi a segno perché il suo obiettivo non è raggiungibile nel breve termine. Questo personaggio potremmo paragonarlo ad un pellegrino che non deve essere necessariamente il mitico pellegrino medievale vestito con un rude sacco grigio e munito solamente di bastone, bisaccia e borraccia; potrebbe essere anche un uomo dei giorni nostri con le salomon ai piedi e lo zaino della Quechua sulle spalle. Quello che è proprio del pellegrino di ogni epoca storica non è tanto l’abbigliamento ma credo che sia prima di tutto la consapevolezza di quello che è, di chi egli sia e quindi di tutto quello che dal passato lo determina nel bene o nel male. Egli però non si ferma a una mera constatazione del dato di fatto della sua vita, ma vede una meta, un posto da raggiungere, un orizzonte più grande che da davanti lo attira facendolo mettere in moto e per questo motivo si mette in cammino. C'è però un mistero grande dietro il pellegrino dei nostri giorni ed è questo: per quale caspita di motivo decide di usare unicamente le sue gambe e non utilizza invece quegli efficientissimi mezzi che l'ingegneria meccanica gli ha messo a disposizione?

venerdì 10 maggio 2019

#1 - L'evasore eterno -


Il grande vantaggio che internet offre è quello di consentire a tutti, anche a quelli che hanno timore di prendere l’aereo, di viaggiare. Oggi infatti se si parla di navigazione si pensa prima di tutto ai meandri della rete cibernetica piuttosto che alla bonaccia del vento che gonfia le vele di un veliero nel mare. Spostarsi altrove o viaggiare ci piace veramente un sacco, forse, andando a scavare, qualche scienziato in gamba potrebbe persino trovare il gene touring-club nel nostro dna. Questo fatto che ci appartiene fino al midollo delle ossa lo possiamo verificare non solo osservando la nostra personale esperienza ma anche andando a guardare quali sono le storie che maggiormente ci raccontiamo. Sono millenni ad esempio che ascoltiamo le avventure di Ulisse e degli Argonauti, di Enea e dei Greci in rotta verso Troia, tutte storie di viaggi che si sono arricchite nei secoli di tanti altri racconti come quello di Dante, di Chaucher, di Marco Polo fino ad arrivare a Chatwin che ci parla di un viaggio in Patagonia e Pirsig che racconta la traversata dal Minnesota alla California fatta a cavallo di una moto insieme a suo figlio. 
Pensando a tutto questo saremmo portati a considerare quanto grande sia l’uomo e il suo desiderio di ricerca che lo spinge a inoltrarsi fino ai confini del mondo, oltre le colonne d’Ercole anzi fino agli oscuri limiti dello spazio. Io però ritengo invece che ci sia anche dell’altro, credo che tutta questa storia del forte desiderio di conoscere e scoprire nuovi orizzonti sia in realtà una spiegazione infiocchettata che diamo a noi stessi per dirci che in fondo non siamo poi così male. Ora la realtà è che ogni storia per essere vera e non solo bella, ha bisogno anche di un cattivo, di quel lato oscuro e misterioso che la trasforma in un’avventura.
 Il desiderio di andare via e di mettere la bandiera su terre sconosciute viene secondo me dall’impulso dell’evasore che ci spinge a scappare e ad allontanarci non da un luogo ma da chi condivide la vita con noi, ossia dalle persone che abbiamo accanto. Ma perché? Perché le persone vicine ci sono terribilmente fastidiose, sono ingombranti, tanto ingombranti che inevitabilmente mettono a soqquadro la nostra stanza ordinata.  Possiamo pure considerare chi ci sta accanto come un oggetto strambo, vedere la nonna come una mummia da museo o rappresentarci lo zio come l’uomo di Neanderthal. Ma tutti costoro che vorremmo fossero semplici e innocui pupazzi da osservare come al teatro delle marionette sono in realtà vivi e liberi, non se ne stanno fermi e buoni, ma prendono iniziativa, invadono il nostro territorio e ci costringono ad ascoltare il suono delle loro trombe che chiamano a raccolta le truppe per sferrare contro di noi il loro attacco.  Davanti a noi si presentano due alternative: o accettare la sfida o darcela a gambe, scappare, andare via. La vita di chi ci sta accanto è impegnativa perché è vitale, nel senso che è viva, imprevedibile, ma anche nel senso che si può arrivare a pensare che chi ci sta accanto potrebbe persino essere in grado di occuparsi di noi e questo è proprio difficile digerirlo! 


martedì 7 maggio 2019

#0 - Lazzaro, qui, fuori! -




Dopo un momento, quando ho reclinato il capo
e tutto il mondo si capovolse e si raddrizzò,
e giunsi dove la vecchia strada brillava bianca,
camminai per le vie e udii ciò che tutti gli uomini dicevano,
foreste di lingue, come foglie d'autunno non ancora cadute,
non spregevoli ma strane e sommesse;
vecchi enigmi e nuove credenze, non a dispetto
ma dolcemente, come  quando gli uomini ridono dei morti.

I saggi hanno centinaia di mappe da offrire,
come un albero tracciano i loro rampicanti cosmi,
frullano la ragione in molti modi, un setaccio
che trattiene la sabbia e libera l'oro:
e tutte queste cose sono meno che polvere per me
perché il mio nome è Lazzaro e sono vivo.  

G.K.Chesterton, The Convert

Con questi versi inizia l'avventura di questo blog che vuole essere come un cassetto della mia scrivania in cui sono riposte molte cose inutili da custodire. Raccolgo qui i fatti, le avventure, i pensieri e le riflessioni di Lazzaro che dopo l'uscita dalla caverna continua ad aggirarsi per il mondo. Gli avevano detto che comunque sarebbe nuovamente morto, egli incurante di tale particolare continua a percorrere le sue strade, lasciando che il tempo passi senza troppe e inutili preoccupazioni. Te lo puoi trovare in fila alla posta o tra i manifestanti in rivolta con i gilet gialli, a lavoro con gli operai delle fabbriche di mattoni di Tozeur o seduto in riva al mare mentre beve birra in buona compagnia. Lo trovi anche a casa, sul divano, mentre guarda la tv nel salotto invaso dai giocattoli dei figli o in mezzo ai rumori dei clacson nel traffico cittadino del pomeriggio inoltrato. Se hai l'occhio scaltro Lazzaro lo puoi scovare ovunque, in mezzo al carnaio metropolitano di una qualsiasi Bombay abitata da milioni di uomini come anche nel solitario rifugio di un anonimo eremita, perché Lazzaro è l'uomo che continua a voler vivere.


# 12 - Artisti per la vita

  La ricerca della voce personale che sia in grado di comunicare e di esprimersi autenticamente è un compito irrinunciabile per l’uomo e cre...