La partenza e la destinazione sono gli estremi di un viaggio, lo spostamento di qualcosa è sempre provocato da alcune cause che possono stare sia davanti che dietro, nel senso che si trovano sia all’origine che alla fine. Per spiegare questo il pensiero degli antichi ci aiuta enormemente, quel genio dell’umanità che è Aristotele aveva infatti individuato quattro tipi di cause, e tra queste include anche la causa finale, quella che muove da davanti, come fa una calamita, che attrae a se un pezzo di ferro, lo sposta senza spingerlo da dietro. Questo comporta un radicale stravolgimento di mentalità, provare ad osservare le cose e le persone dalla prospettiva del loro fine, dal compimento che devono realizzare, aiuta ad avere un orizzonte più ampio è come se applicassimo ai nostri occhiali una sorta di grandangolo.
Spesso
ci muoviamo come mosche dentro un bicchiere di vetro capovolto, giriamo
ronzando, sbattiamo da una parte all’altra in maniera incomprensibile perché si
dimentica o il punto di partenza o la meta. Chi non ha presente la meta è il
fuggiasco, quello che scappa e si muove perché qualcosa da dietro gli fa
pressione, il suo fine è fuggire, l’unica cosa importante per lui è seminare
gli inseguitori e questo basta. C’è poi un altro personaggio, quello che non
guarda nulla e nessuno, ma ha in testa solo il suo obiettivo da raggiungere ad
ogni costo. Costui è l’infantile, l’uomo fermo all’adolescenza che non pensa ad
altro se non al perseguimento dei propri scopi consistenti quasi sempre nel
soddisfacimento dei propri bisogni. L’uomo efficiente, che si fa da solo, che
raggiunge i propri obiettivi guarda avanti, ma solo fino alla punta dei propri
piedi. Per questo motivo il nostro mondo, efficiente, tecnologico e funzionale
è in fondo un mondo ancora adolescente, giovane e a misura di giovani, alla
fine è un mondo fermo anche se dà l’impressione di muoversi velocemente.
Accanto al fuggiasco e all’uomo efficiente che raggiunge tutti i suoi obiettivi c’è un altro personaggio che ha perso lo smalto della prima ora. Lui si mette in cammino caricandosi nello zaino le sue cose, il suo bagaglio di esperienze, alcune di queste gli saranno indispensabili per affrontare la traversata, altre invece sono inutili e dovrà avere il coraggio di lasciarle sulla strada per rendere più leggero lo zaino. Non può fare il fuggitivo perché ne è impedito dallo zaino che porta sulle spalle e non può nemmeno mostrare il suo bel curriculum di obiettivi messi a segno perché il suo obiettivo non è raggiungibile nel breve termine. Questo personaggio potremmo paragonarlo ad un pellegrino che non deve essere necessariamente il mitico pellegrino medievale vestito con un rude sacco grigio e munito solamente di bastone, bisaccia e borraccia; potrebbe essere anche un uomo dei giorni nostri con le salomon ai piedi e lo zaino della Quechua sulle spalle. Quello che è proprio del pellegrino di ogni epoca storica non è tanto l’abbigliamento ma credo che sia prima di tutto la consapevolezza di quello che è, di chi egli sia e quindi di tutto quello che dal passato lo determina nel bene o nel male. Egli però non si ferma a una mera constatazione del dato di fatto della sua vita, ma vede una meta, un posto da raggiungere, un orizzonte più grande che da davanti lo attira facendolo mettere in moto e per questo motivo si mette in cammino. C'è però un mistero grande dietro il pellegrino dei nostri giorni ed è questo: per quale caspita di motivo decide di usare unicamente le sue gambe e non utilizza invece quegli efficientissimi mezzi che l'ingegneria meccanica gli ha messo a disposizione?
Accanto al fuggiasco e all’uomo efficiente che raggiunge tutti i suoi obiettivi c’è un altro personaggio che ha perso lo smalto della prima ora. Lui si mette in cammino caricandosi nello zaino le sue cose, il suo bagaglio di esperienze, alcune di queste gli saranno indispensabili per affrontare la traversata, altre invece sono inutili e dovrà avere il coraggio di lasciarle sulla strada per rendere più leggero lo zaino. Non può fare il fuggitivo perché ne è impedito dallo zaino che porta sulle spalle e non può nemmeno mostrare il suo bel curriculum di obiettivi messi a segno perché il suo obiettivo non è raggiungibile nel breve termine. Questo personaggio potremmo paragonarlo ad un pellegrino che non deve essere necessariamente il mitico pellegrino medievale vestito con un rude sacco grigio e munito solamente di bastone, bisaccia e borraccia; potrebbe essere anche un uomo dei giorni nostri con le salomon ai piedi e lo zaino della Quechua sulle spalle. Quello che è proprio del pellegrino di ogni epoca storica non è tanto l’abbigliamento ma credo che sia prima di tutto la consapevolezza di quello che è, di chi egli sia e quindi di tutto quello che dal passato lo determina nel bene o nel male. Egli però non si ferma a una mera constatazione del dato di fatto della sua vita, ma vede una meta, un posto da raggiungere, un orizzonte più grande che da davanti lo attira facendolo mettere in moto e per questo motivo si mette in cammino. C'è però un mistero grande dietro il pellegrino dei nostri giorni ed è questo: per quale caspita di motivo decide di usare unicamente le sue gambe e non utilizza invece quegli efficientissimi mezzi che l'ingegneria meccanica gli ha messo a disposizione?
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